02/06/20

RACCONTI

                                             




   RACCONTI 



Una mattina di alcuni anni fa mi sono svegliata ed ho deciso che di lì a poco sarei partita per percorrere a piedi il Camino di Santiago che da Saint-Jean-Pied-de-Port (Francia) porta a Santiago de Compostela (Spagna): un tragitto lungo circa 800 km che ripercorre i passi degli antichi pellegrini che da tutta Europa partivano per andare nel luogo sacro in cui giacciono le reliquie di San Giacomo, uno dei 12 apostoli di Gesù, per intenderci.
Succede così: sai che esiste il Cammino di Santiago e ti dici “sarebbe bello, un giorno...”. Poi quel giorno arriva ed è come se il cammino ti stesse chiamando. Nasce così la necessità di mollare tutto e di ritrovare un po’ sé stessi nella semplicità delle poche cose che ti puoi portare appresso.
Sì perché la tua vita, i tuoi averi, si riducono a ciò che ti puoi caricare sulle spalle, in uno zaino che ti accompagnerà e diventerà la tua casa durante i venticinque giorni di cammino. È così che prima di partire ti ritrovi a pesare ogni singola cosa (persino le mutande) per capire quale è la più leggera da portarti dietro.
Arriva il giorno della partenza, l’emozione è tanta. Tanto ho letto del cammino, tante sono state le fantasie, ma tanta è anche la consapevolezza che solo vivendolo saprò davvero cosa significa per me questo viaggio. L’unica certezza è che ho un mese davanti a me. Un mese di camminate, di nottate in camerate comuni, di incontri speciali e di momenti di solitudine. Un mese in cui, speravo, avrei trovato tante risposte.
Si parte. Già dal primo giorno faccio nuove conoscenze. Tanti religiosi e tanti altri che, come me, sono spinti da motivazioni più spirituali e personali. Presenze a volte pesanti, altre volte di vitale necessità.

Le giornate passano: sveglia all’alba, preparo lo zaino nel silenzio di un dormitorio ancora immerso nel sonno, mi incammino.
Tutto il percorso è segnato da frecce gialle e dalle classiche conchiglie: quasi impossibile perdersi.. anche se, a volte…
Cammino finché le mie gambe e la mia voglia reggono. Il paesaggio cambia lentamente sotto ai miei occhi. Il verde delle prime tappe nella regione di Navarra lascia lentamente spazio ai grandi vigneti della Rioja, passando poi al torrido e brullo altipiano delle amate ed odiate Mesetas del territorio di Castilla-León per poi giungere nell’ultima regione, quella della Galizia, con i suoi sali e scendi e i boschi di eucalipto.
Si cammina, si incontra gente e la si perde di vista per poi rincontrarla dopo giorni. Ognuno col suo ritmo e con i propri bisogni.Mi ritrovo per giornate intere a seguire frecce gialle, ascoltando il mio corpo e nulla più. Arrivavo in un paese e mi dicevo “bene, che ore sono? Quanto dista il prossimo paese? Ce la faccio ancora?” ed in base a quello decidevo come procedere. Altre frecce gialle. Tanto in ogni paese avrei trovato un Albergue, un ostello, che mi avrebbe accolto e riparato per la notte. Chi domandando un modico compenso e chi “a donativo”. Certo, le comodità erano spesso scarse: si dormiva per terra, in camerate da 40 posti letto con rumori ed odori inimmaginabili, ma andava bene anche così. 
Dicevo, si cammina, si seguono le frecce, si mangia, si incontra gente e si decide quando fermarsi. Poi, una volta trovato un luogo in cui passare la notte, non è finita... No, perché bisogna fare il bucato, perché i ricambi sono pochi (sempre per quella famosa questione di portarsi lo zaino sulle spalle...), ci si cura le vesciche che regolarmente vengono ai piedi, si massaggiano le gambe ormai provate da varie tendiniti ed infine si va a dormire, consapevoli che il giorno seguente la routine sarà simile ma che, nonostante ciò, non esiste giorno uguale all’altro e che a ogni freccia gialla ne seguirà un’altra e poi un’altra ancora.
Così i giorni passano. Frecce gialle.
La motivazione è altalenante, ma Santiago è sempre lì, ogni giorno più vicina. Altre frecce gialle. Finché finalmente la vedi, davanti a te, quella maestosa cattedrale che tanto hai aspettato di vedere e per un attimo rimani senza parole. Tanti sacrifici, tanti sforzi ed adesso eccola, quella cattedrale che per me che non sono religiosa poco significa. Quella cattedrale che venticinque giorni prima ho deciso di raggiungere perché speravo di ritrovarmi un po’. Ma quella tanto sognata meta ora perdeva di importanza, perché il Cammino di Santiago non è Santiago de Compostela. Il Cammino è il camminare. Santiago si può anche non raggiungere, tanto rimarrà lì ancora per diversi anni, presumo. Il cammino sono le persone che incontri, sei tu che superi i tuoi limiti, è il camminare senza dover pensare, è il tuo corpo del quale devi prenderti cura, perché oltre allo zaino è l’unica cosa che ti porti appresso, è la consapevolezza che ci saranno sempre delle frecce gialle che ti indicano la strada, è il prendere atto che, di tutti i mille dubbi che ti hanno portato a prendere la decisione di partire, non ne hai affrontato neppure uno ma che, forse, non facendolo li hai risolti tutti. Perché la vita, a volte, la rendiamo complicata noi e, a volte, basterebbe semplicemente lasciarsi andare e seguire quelle belle frecce gialle messe da qualcuno che, passando prima di noi, ha voluto indicarci la strada migliore da percorrere.

                                     Sarah S.

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