24/07/20

IL CORRIERE DEL CAD - RIFLESSIONI

RIFLESSIONI


Roswell e retroingegneria

Verso i primi di luglio del 1947 si verifica quello che appare come un incidente: lo schiantamento dell’UFO di Roswell in New Mexico, non a caso a pochi metri di distanza dagli impianti atomici e missilistici più avanzati del mondo.

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Eine endgültige Strategie, der die Entdeckung von den Schöpfern in Roswell.

Il dipartimento di ricerca e sviluppo dell’esercito americano avviò un progetto tecnico finalizzato di retroingegneria per “impiantare” parte dei frammenti di tecnologia extraterrestre nei colossi dell’industria quali: IBM, Hugues Aircraft, Bell Labs e Dow Cornig..

Questo portò alle seguenti acquisizioni: il laser, le fibre ottiche, la visione notturna, le fibre super tenaci ed ai transistor, gli stessi microcircuiti integrati che avrebbero indotto gli sviluppi a cascata sull’informatica come pure ad altre ricerche di frontiera sulle nostre onde cerebrali, l’antigravità, eccetera..

Importante notare che in verità l’evoluzione del genere umano rientra in un disegno predefinito: un Grande disegno predefinito previsto da secoli, da millenni, anche milioni di anni, un Disegno=divino; ma ci interessiamo in particolare a quanto poi avvenuto in seguito alla seconda guerra mondiale.

Potremmo dire che in un certo senso, siamo tutti figli dei ritrovamenti effettuati a Roswell in New Mexico nel 1947 perché hanno segnato una svolta decisiva nella nostra evoluzione tecnologica, “suggerendo” il passaggio dalle tecnologie analogiche alle tecnologie digitali e non solo, come vedremo in futuro: la trasformazione non è ancora completata!

235=Evoluzione+della+specie:

334=schiantamento+dell+UFO+di+Roswell

433=Alla+Gloria+del+Grande+Architetto+dell+Universo.

s.c.g





“ La mia promessa”

Non posso promettere che ne uscirò, prometto però di non smettere mai di tentare

L.C.




Qua tira vento, ed io lo sento e se ti dico che t'amo mica mento. Non mento mai di fronte ai sentimenti, che bei tempi, quelli passati ad averti vicino, magari ci fosse stato un camino. Tempi in cui credevamo ancora di poter cambiare il mondo ma abbiamo poi solo toccato il fondo. Per poi risalire piano piano ma con un coraggio da leoni per divorare i coglioni di chi ci ha fatto tanto male, male gratuito cosi siam finiti nel proibito. Il prezzo di esser stati nel proibito appunto lo abbiamo pagato caro e pure ora e un periodo amaro. In piena pandemia vorrei qui ora la mia bambina come pure il mio caro figlio.  

Rachy




IL CORRIERE DEL CAD - Racconti

  RACCONTI

Quando una passione diventa uno stile di vita

La passione nasce dalla curiosità e dall’interesse verso un qualcosa che ci permette di conoscere piu’ a fondo noi stessi. È un qualcosa di estremamente personale e autentico, che ci consente di provare un senso di soddisfazione personale tale da renderci piu’ sicuri, piu’ forti, spesso meno vulnerabili; proprio perché con essa riusciamo a riconoscerci, ad esprimerci, ad individuare i nostri punti deboli e di forza e a migliorare noi stessi. Ognuno di noi ha una passione, e chi pensa di non averla in realtà  ce l’ha ma non ha ancora trovato lo stimolo giusto per riconoscerla. A volte la si trova per caso, come è successo a me. Spesso si pensa che i bambini, oltre alla scuola, debbano avere un’attività al di fuori del contesto scolastico e familiare, per questa ragione spesso è lo sport l’attività tanto ricercata. Ma quando sei così giovane, non è semplice capire cosa ti piace veramente, un po’ come quando finite le scuole medie devi scegliere che percorso intraprendere per il tuo futuro; è una decisione difficile. Per capire cosa ti piace veramente devi poter fare esperienza, devi poter capire se sei davvero portato per quella cosa, devi capire se quella professione, quell’attività o quell’hobby è ciò che ti rende davvero felice e appagato; e per fare questo bisogna avere il coraggio di buttarsi. Provando diverse attività individuali, sportive e non, ho capito che c’era qualcosa che non faceva per me, c’era qualcosa che mi mancava e che ogni volta mi faceva mollare tutto. 

Solo con il tempo ho capito che ciò che mi mancava di più era il sentimento di appartenere ad un gruppo, ad una squadra dove poter condividere un unico obiettivo; dove ognuno è parte del sistema stesso e non è indispensabile, ma utile agli altri e in primo luogo a se stesso. C ‘è uno sport dove la palla bisogna passarla, non per altruismo ma per regolamento. C’è uno sport dove il campione, anche quello più forte al mondo, da solo non serve a niente. C’è uno sport dove la squadra è il valore assoluto, dove solo la squadra ti permette di realizzare o meno i tuoi sogni. E’ uno sport dove si è costretti a muoversi in uno spazio ristretto, all’interno del quale trovarti nella posizione giusta o sbagliata vuol dire vincere o perdere una partita, un campionato, un torneo, una medaglia… E’ uno sport dove segni dei punti e li subisci in pochi secondi e la partita è una scarica di adrenalina continua, dal primo all’ultimo secondo. 

Questo sport è la pallavolo, ed è la mia più grande passione. Questa passione è diventata per me, dopo 15 anni, uno stile di vita. In partita “NON SI MOLLA MAI”, questa è la prima regola; la seconda regola dice che non esistono alibi, darci e dare spiegazione del perché non si possono fare le cose non ci permette di migliorare noi stessi e non ci permette di capire dove stiamo sbagliando. Di solito pensiamo che le difficoltà ci impediscono di fare quello che vogliamo, ma allo stesso modo ci permettono di essere creativi, di provare cose nuove, di cercare di utilizzare tutte le nostre risorse che di solito sono più di quello che crediamo. Quando ci misuriamo con gli avversari: vinciamo, perdiamo, ci mettono in difficoltà, ma in realtà sono loro che ci dicono dove possiamo migliorare ancora, per poterli così battere. La terza regola è che l’errore è parte dell’apprendimento. Viviamo in una società che spesso ci parla solo del successo, ma personalmente ritengo sia solo una grande menzogna, non è sufficiente che vengano le cose facili, è necessario avere la capacità di imparare. L’errore è parte dell’apprendimento, non si può imparare senza sbagliare. Vittoria e sconfitta sono due facce della stessa medaglia: Julio Velasco, grandissimo allenatore argentino di pallavolo, riteneva che la mentalità vincente la si costruisce vincendo. È necessario cominciare a vincere contro noi stessi, contro i nostri difetti e i nostri limiti, solo così potremmo diventare vincenti. 

Il valore che questa passione ha per me non lo posso quantificare: perché le esperienze, i valori, le persone che ho incontrato e gli insegnamenti che mi ha dato valgono più dello sforzo, degli ostacoli e delle difficoltà che ho incontrato in questo percorso. Un percorso non solo sportivo ma soprattutto personale, proprio perché sono esperienze che una volta giunte al termine, ti permettono di prendere coscienza rispetto alla persona che eri prima di aver iniziato tutto.  

ATTIVITÀ CAD AGOSTO 2020



ATTIVITÀ CAD AGOSTO 2020



Lunedì 27 luglio: passeggiata lungo il fiume, risveglio muscolare e caffè ritrovo al CAD ore 9.00

Mercoledì 29 luglio: grigliata Parco Vira di Savosa, ritrovo al CAD 10.30. Prenotarsi al CAD.

Lunedì 3 agosto: passeggiata con caffè ritrovo al CAD ore 9.00 

Giovedì 6 agosto: picnic al fiume ritrovo al CAD ore 10.00

IL CORRIERE DEL CAD - Ricette


  RICETTE



 

Ingredienti:

Uova

3 medie

Farina 00

250 gr

Burro

per ungere la padella, q.b.

Latte

500 ml




Preparazione:

Rompere le uova in una ciotola dai bordi alti, sbatterle con una forchetta e unire il latte. mescolare accuratamente.

Aggiungere setacciando la farina e mescolarla con una frusta, evitando la formazione di grumi, fino ad ottenere un composto omogeneo.

Mettere la ciotola in frigo per almeno 30 minuti, dopodiché scaldare un padella con del burro e versare un mestolo del composto, distribuendolo omogeneamente sul fondo della padella.

Dopo un minuto, girare la crêpe e farla cuocere ancora un minuto sull’altro lato.

Si dovrebbero ottenere circa 8 pezzi.

IL CORRIERE DEL CAD - RACCONTI

 
 RACCONTI


C’è una logica nei sogni. Nei sogni di grandezza si chiama umiltà 

Ricordando Ron S. e il grande Ennio 

Ho un angelo custode . È mio fratello. Ogni tanto mi dà una mano. Da lui ho imparato che nella vita non bisogna  mai darsi per vinti.  Dice: “Rolando, cerca di essere sempre nel posto giusto al momento giusto. Il lavoro non ti viene a cercare, ma tu sai dove si trova.”

Ci vediamo poco. Lui dirige grandi progetti in Europa. Dirigere dev’essere bello, ma è un’immensa responsabilità! Io invece ho la libertà di scrivere quello che penso e di dirigere la mia vita (un progetto ambizioso, il secondo). 

Daniele dice che tutto è possibile. Perciò vorrei, se il tempo me lo concede, scrivere un libro. La vicenda di un ragazzino che ha perso una miriade di occasioni, eppure ci crede ancora. Si chiamerà Ron il mio protagonista. Un ragazzo altro 2 m e 13  cm che accarezza la palla a spicchi e la schiaccia con rabbia nel canestro. Ha la pelle e la carnagione scura. (Negli Anni 70, anni d’oro del basket ticinese, c’era un certo Ron Sanford (nato a New York l’11 giugno 1946) che giocava nel Pregassona. Erano gli anni dei mitici derby  contro la Federale Lugano, il Lugano Mulino Nuovo e - udite udite! – contro il Viganello: tutt’e quattro le squadre di Lugano giocavano nel campionato svizzero di serie A.)

Il mio protagonista è un afroamericano, che ha vissuto nella povertà, nella criminalità, poi nella ricchezza e naturalmente nella politica. Mai stato in Svizzera. Mi ha però ispirato a scrivere una storia. Un racconto ispirato anche dal “ciao” a Ennio Morricone.   

Quando la vita uccide la morte, non è mai un caso

In giovane età Ron aveva già tutto ciò di materiale che un umano può desiderare nella vita terrena. Certo,  la sua stazza e la sua tracotanza, abbinate a un certo sex-appeal (un dentino d’oro e piercing esagerato sulla fronte) lo avevano aiutato, portandolo in breve tempo a sottomettere la crème de la crème della malavita est-europea da Tbilisi a Darmstadt. Era diventato il re di un incredibile giro di affari: armi, droga, corruzione, tratta di persone. E tutto ciò senza sporcarsi la mani e nemmeno forzare più del necessario il suo pugno di ferro. Si diceva che era anche questione d’astuzia. Il lavoro sporco lo lasciava fare ai bifolchi, i quali  poi, stranamente, finivano per farsi fuori a vicenda. Un sistema ben oliato, al limite dell’evidenza che purtroppo lasciava tutti indifferenti. Qui nel mio romanzo subentra però una poliziotta inglese “very smart”.   

Così, però,  un anche per lui  tutto va a rotoli e Ron (il protagonista del mio romanzo) si sdraia sui binari dove passano i treni che da est attraversano le praterie e i boschi della Sassonia diretti verso la Germania e l’Europa occidentale. Ron, cuore arido e ferito, vuole morire. Da lontano si sente l’urlo e lo sferragliare di un treno a vapore. Anche Ron lo sente e per andare “sul sicuro” si alza, come a volere abbracciare la locomotiva, abbracciare la morte. La valanga di acciaio destinata a squassarlo si avvicina a cento all’ora. 

Visto che questo è solo il canavaccio e l’inizio di una lunga storia fatta di razzismo, amore e pregiudizi, vi anticipo il colpo di scena, la svolta. Il fischio assordante del treno a vapore che sopraggiunge non impedisce a un altrettanto impavido 60enne, disorientato e senza futuro, di buttarsi sul giovane Ron. Afferrando da tergo il lungo e allampanato quanto disperato Ron. Lo trascina a terra oltre i binari. Entrambi rotolano giù lungo una scarpata e scompaiono. E’ un momento incredibile, come se quel fracasso e quelle grida avessero annientato una morte già decisa, ricordando il titolo di quel famoso romanzo di Garcia Marquez. L’idea della morte che muore deve accompagnare per un attimo il regista di questo racconto. Così, invece di assistere a una scena di sangue in stile splatter, vedo il grigio più grigio, una nuvola di polvere che si alza cancellando tutto: nessuna visuale e mentre il fragore del treno va dipanandosi, lì intorno si ode solo uno stormo di uccelli sollevarsi gridando, cinguettando, gracchiando. Chissà cosa stesse passando per quei cervelli minuti in quel momento? L’ammasso di pennuti urla e vola via. Per una volta è la vita a sopravvivere e il polverone annera lo schermo e la visuale di eventuali testimoni, lasciandoci lì col fiato sospeso. Questa suspense dura lunghi, interminabili rintocchi di un lontano campanile. È un’allegoria della morte che si alza minacciosa con la sua falce ma di lì a poco si perde, disorientata, chissà dove. Poi il nulla e dietro quel nulla: monti, colline, foreste e un sole rovente che accarezza questo sipario irreale di un arancione degno del miglior Van Gogh, si allarga annunciando la vita: gli uccelli si vedono ancora, in lontananza il loro gracchiare diventa un fiato di musica quasi impercettibile - omaggio al grande Ennio -  un suono sempre più chiaro, armonico e limpido, ma che al tempo stesso con ogni battito d’ali si attenua spegnendosi nel vuoto, come in un film. Nella mia mente resta questo canto liberatorio, come quel gesto disperato che ha salvato la vita o negato la morte al mio Ron. L’odore di catrame delle traversine è la conferma che io ero lì e che ho davvero assistito a un  duello memorabile: vincere o morire. Una scena da Far West. Più tardi Ron riapparirà, ma questo è un altro capitolo che spero di sfogliare presto.

Sono antirazzista in quanto riconosco il mio razzismo – vero ma triste !  

Per tornare a Ron Sanford, questo è lo spirito che accompagna la vita di molte giovani persone afroamericane che si gettano con dedizione nello sport ma poi - anche quando vincono - si inchinano o alzano il pugno nero al cielo mentre s’intona The national hindom of the United States of America.  Ovviamente in segno di protesta contro il persistente razzismo fatto di pregiudizi, violenza ed esclusione. Fatto di morte.    

Oggi, se non fosse arrivato in Europa in gioventù, Ron Sanford sarebbe forse finito come molti giovani afroamericani, sacrificati sull’altare della violenza, della criminalità e del razzismo che tuttora regna nel mondo intero - anche qui da noi. Troppo facile condannare gli americani. Tutto questo ci riguarda.  

Mea culpa: ammettere di avere una lieve, odiosa vena di razzismo dentro di sé (dentro di me) è difficile e triste, ma rappresenta il mio primo indispensabile passo verso quell’antirazzista che voglio essere.


                                                                                                                                            Roland A. Stocker  

IL CORRIERE DEL CAD - RIFLESSIONI

 RIFLESSIONI


Fra me e te c’é chimica, ed io non sono timida, ti salterei addosso proprio come un cane fa con l'osso.

Ti bacerei dappertutto come tu fossi panna, ti canterei la ninna nanna. Ti coccolerei per ore per poi sentire un leggero tremore, talmente e tanta l'emozione. Emozione nel riuscire ancora ad amare. Emozione nel vedere i tuoi occhi lucidi incontrarsi con i miei. Occhi colmi di dolore che solo io e te possiamo capire, per poi insieme dormire.  


Rachy

IL CORRIERE DEL CAD - RICETTE

         RICETTE


Ciambelle dolci di patate

Ricetta di Ada


Ingredienti:


Patate bollite

500 gr

Uova

5

Zucchero

1 cucchiaio

Sale

q.b.

farina 00

q.b

Olio  per  friggere

1 litro



Procedimento:


Schiacciare le patate, unire le uova, un pizzico di sale, un cucchiaio di zucchero e la farina fino ad ottenere  

un impasto morbido e non più appiccicoso. Formare delle ciambelle del diametro di 10 cm circa e friggerle 

nell’olio bollente. Appena cotte, tirarle fuori, adagiarle su della carta assorbente e cospargerle con lo zucchero.