30/06/20

IL CORRIERE DEL CAD


RACCONTI


Come abbattere l’epidemia?

  Con il desiderio, la determinazione di riaprire il CAD -  con un progetto comune!
Credo che questo periodo di pandemia ci faccia riflettere e in parte rimpiangere di non avere approfittato maggiormente dello spazio, della libertà, della cultura che ci offre un luogo come il CAD.
“Come reinventarci una vita dopo la pandemia?” Così avevo titolato l’ultimo articolo. Lo spavento collettivo ha portato molte persone (personaggi illustri ma anche comuni mortali, me compreso) a promettere al mondo intero “saremo più bravi, modesti, attenti ai bisogni dei più deboli” e di accontentarci e apprezzare ogni risveglio mattutino, ogni giorno come un regalo da vivere: carpe diem e ringrazia il tuo Dio.  
  Da bambino, ogni giorno era un’avventura, scoprivo continuamente la vita, le cose della vita, che si nascondono nei prati, nei boschi, sotto un sasso o sott’acqua. Mia mamma non si stancava di ripetermi che non potevo tenere i girini in 
camera, che il bicchiere era troppo piccolo e che il vaso della conserva (quello grande, verde, con la guarnizione arancione) serviva a conservare i cornetti e quant’altro… e che quelle piccole creature carine, gruppi di natanti destinati a diventare rane, sarebbero cresciuti in un baleno  e avrebbero fatto una brutta fine se non li avessi liberati quanto prima, riportandoli al naviglio, dove passavamo tanto tempo da bambini, lontano dagli sguardi dei grandi. Erano le lunghe estati degli Anni Settanta che trascorrevo a Tenero: allora, al naviglio, gli operai della Cartiera tenevano ancora delle “imbarcazioni”:  alcune barche stavano già mezze affondando, altre ancora galleggianti, vecchi gommoni e imbarcazioni a remi, sgangherate e scrostate, ma ancora buone per andare pescare. C’era un immenso salice piangente. Per noi erano posti ideali per giocare, fumare di nascosto, fare le prime esperienze promiscue, inventarci delle storie con dei ruoli un po’ fantasiosi ma veri ai nostri occhi e ben precisi - a quell’età. Carpire ogni minuto della vita è ciò che bambini/e e ragazzi/e sono ancora in grado di fare, mentre a noi, che oggi siamo adulti (o dovremmo esserlo) ciò non è più concesso o – chissà? - non è più possibile ?!

  Ma è questo l’interrogativo: siamo costretti ad adattarci, a rinunciare al bambino che abbiamo dentro oppure ci autocensuriamo e ci adattiamo per paura di fare figuracce, di essere derisi ed esclusi. I più anziani si ricorderanno dell’espressione “Che perdita di punti!” o anche solo “I punti!” Non so quanti anni avevo quando compresi il significato intrinseco di quell’espressione: oggi si parlerebbe di una “figuraccia”, al limite ”da sfigato”. In dialetto “Figüra da cioccolatee!” All’epoca – dunque - esisteva un pallottoliere immaginario (di certo non un display) in cui si collezionavano o perdevano dei punti, al cospetto delle ragazze, ovviamente.Ritorniamo al CAD, pur rimanendo in questa classifica dei valori. Personalmente ha poca ammirazione per l’utente medio che sparla alle spalle di chi lavora al CAD, né di chi ne critica le regole, senza proporre alternative.

 Frasi come “Guarda che ingiustizia,  hanno sanzionato Tizio,  buttato fuori Caio, mentre Sempronia… ”non fanno parte del mio repertorio. Eppure…
  Solo ora - lo ammetto - capisco il perché. Ora che il CAD è per così dire chiuso mi rendo conto della libertà e del potenziale che ci offre un Centro di accoglienza diurno (o diurna, boh). Credo di non essere l’unico a pensarla così, perciò rivolgo un appello a tutti quelli che mi capiscono, ma anche a coloro che leggendo queste righe mi riterranno una persona servile: cerchiamo di sfruttare questo spazio per sbizzarrirci, discutendo, giocando, per fare politica e cultura. Non ci vuole molto, basta esserci e andare un po’ oltre il puro consumismo, dando indietro qualcosa, insomma: fare una mansione al CAD è già un piccolo gesto simbolico, seppure imposto.  Eppure…
  Non limitarsi al consumismo è difficile, per me in primis, con tutte le dipendenze che mi ritrovo, ma credo che il solo tentativo rappresenti in sé già un successo.  Scrivere mi diverte, ma se mi metto a disegnare, a dipingere o a modellare, sono assolutamente imbranato. Ciononostante, di tanto in tanto mi cimento in tentativi di questo tipo. E devo ammettere che provo un immenso piacere: non tanto per il risultato, davvero modesto,ma per il fatto di avere 
Osare è comunque un’esperienza unica. Per quanto il risultato possa non piacere – e sono il primo a criticare la mia goffaggine. Osare per me è una sorta di ritorno all’infanzia – ahimè senza il naviglio, i girini e senza tanti odori di paesaggi e personaggi ormai scomparsi, ma indimenticabili. Osare è il seme da cui nasce qualcosa e, per lo meno, che ti dà qualcosa, perché ti muove le nostre viscere. E’ un’arte emozionante!

  Se poi riuscissimo a fare tutte queste cose in comune, insieme (e proprio in questo consiste il fascino del “Progetto Giornale“), a farci sentire uniti e far sentire la nostra voce al di là della problematica che ci accomuna in quanto “utenti” e/o “lavoratori” sociali, ecco che diventa qualcosa di impagabile, d’irrinunciabile in quanto esperienza ed “esperimento sociale”. Grazie per questo spazio! Spero che questo sia il messaggio principale, che resterà impresso a chi non ha ancora smesso di leggere questo mio contributo.  Eppure…
  Ne riparleremo quando il CAD riaprirà i battenti per davvero. Troppo facile predicare, se poi si corre di nuovo al parchetto. 
Sconfiggere la pandemia in questo modo potrebbe anche voler dire uscire da un tunnel,  da un tubo buio che non offre sbocchi, né a destra, né a sinistra, e nemmeno la possibilità di cambiare velocità, in effetti non siamo noi a dettare 
la cadenza del consumo, perché c’è sempre qualcuno che ti spinge o che ti frena. Altro che “sballo”. Sarebbe un finale triste ma ideale. Eppure… dimenticavo, forse per via dello sballo,  che anche il Ballo faceva parte di quelle cose che noi ragazzi e ragazze facevamo lontano dagli sguardi di mamma e papà. Ma io adoravo il ballo. E lo adoro tuttora. Insomma, le mie passioni e attrazioni sono tante, le alternative non mancano, basterebbe osare di più. Cosi si abbatte la pan-malattia.



                                                                                                                Roland


                                                                                              

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